"Vite di Madri", intervista all'autrice
Dopo averla intervistata come blogger (ben 2 volte!) e aver conosciuto una minima parte della Donna, ospitiamo nuovamente, con immenso piacere, Emma Fenu nel nostro Caffè Letterario, in veste di scrittrice del suo romanzo d’esordio “Vite di madri – storie di ordinaria anormalità”, che forse, più di qualsiasi altra intervista, la mette a nudo davvero. Iniziamo con la rituale frivolezza tipica di un caffè letterario virtuale, che per l’occasione ho cercato di rendere accogliente quanto il tuo, quello in cui hai invitato le Donne a raccontarsi, tra «cuscini di lino e cotone, ornati di volants, e tazzine di porcellana sapientemente spaiate». Cosa posso offrirti? Un tè alla vaniglia?
Eccomi di nuovo qui, seduta con Stefania, in un mondo di magia, dove la carta prende forma e sapore. La vaniglia è il mio gusto di tè preferito, estremamente dolce ma penetrante: sorseggiamolo insieme, occhi negli occhi. Come dici nella prefazione, la tua idea iniziale era di «scrivere una sincera e non vittimistica testimonianza sull’endometriosi» e forse il tuo vissuto, quello di tua madre e di tua nonna, prima di lei, avrebbe potuto da solo riempire le pagine di un libro. Ma forse la catarsi non sarebbe stata completa? Al contrario, questo libro dà la magnifica sensazione di essere risolutivo, di aver raggiunto lo scopo: la riconciliazione con tutti i tuoi cocci fisici con l’anima eterea che stava rannicchiata tra essi, «nuda e disarmata». Come ti è venuta l’idea di allargare le braccia e stringere altre donne? Per non sentirti sola? Per la tua innata empatia che ti porta a sentire il dolore altrui e aiutare a dargli voce?
Il mio progetto iniziale non era finalizzato ad un’eventuale pubblicazione. La mia storia è nata su un forum, tramite uno scambio di post, per rispondere ad un personale bisogno di sfogo e successiva catarsi. Non ho, poi, incluso tale mia testimonianza nel libro perché non necessario: mi sento in tutte le altre, anche se gli eventi narrati non li ho vissuti in prima persona li ho metaforicamente mangiati, per farli miei. Ho voluto inizialmente condividere esperienze per creare “sorellanza”, ma presto mi sono resa conto che l’obiettivo era mutato: desideravo dare voce alle tante “mie” donne, che hanno dimostrato coraggio e forza, sia per loro, sia per quanti vivono nelle medesime difficoltà, affinché possano scorgervi speranza, sia per quanti non conoscono tale realtà, affinché siano anch’essi parte di una Storia dalle mille sfumature. Hai raccolto le testimonianze di centocinquanta donne e ti sei immersa talmente tanto nelle loro vite che hai intravisto tutte le loro anime oltre le lettere scritte. Più che l’accomunarsi di sintomi e probabili cause, più che il verdetto di un ginecologo o del volgo, infatti, ciò che ritroviamo nelle storie che hai scelto di mostrare al pubblico è un idem sentire. «Donne mortificate nella femminilità da abusi o da malattie o da eventi imponderabili, […] figlie ormai adulte che ragionano per tagli, incisioni impietose su braccia e pancia, […] madri irrisolte», storie di ordinaria anormalità. La bellezza di questo libro, il suo potere catartico, sia per l’autore sia per il lettore, sta nel fatto che ognuna di noi può prendere un pezzetto dai dodici puzzle presentati e comporre il proprio. Hai già spiegato il simbolismo della scelta del numero, ciò che vorrei chiederti è: in base a cosa hai scelto le dodici storie da raccontare? Hai scelto le più diverse tra loro in modo da abbracciare più varianti possibili o quelle in cui si poteva più facilmente scorgere un tratto comune? Quelle più estreme e personali o, al contrario, quelle più “ordinarie”, in cui ciascuna di noi potesse specchiarsi e sentirsi meno sola, stringendo tra le braccia bambole a nostra immagine e somiglianza, anzi, in realtà noi stesse, bisognose di protezione (come l’illustrazione di copertina)? O forse hai solo cercato le storie che più di altre racchiudessero la tua…
Le storie sono dodici in quanto esso è il numero che simboleggia l’iniziazione e la catarsi, ma in esse ve ne sono 151. Hanno tutte subito un totale processo di rielaborazione da parte mia: alcune mantengono la struttura narrativa quasi intatta, altre sono frutto di un’osmosi di molte storie. Tale scelta è stata operata, di comune accordo con le protagoniste, per proteggerne l’anonimato, ma, soprattutto, perché tutte si riconoscessero quali pezzi del puzzle a cui accenni. Ho privilegiato racconti che fossero i mattoncini gialli di un percorso che, infine, a porta a casa, nel cuore di ciascuna donna che stringe a sè le bambole, ossia le bambine che eravamo, tutte noi, lettrici incluse, per renderle poi vive e libere di giocare, finalmente. Come ti sei sentita scrivendo questo libro, così coraggioso, perché non è mai facile mostrarsi nudi davanti a una platea in cui si possono celare fiere in attesa di affossare i denti nella nostra carne. Come ti sei sentita la prima volta che l’hai riletto? E come si sono sentite le donne di cui parli (anche se in realtà si tratta di tutte le donne) rileggendo la loro storia attraverso la tua delicata e potente narrazione?
Mi sento sentita assolutamente a mio agio, felice di essere circondata di affetto per la mia persona e di stima per il mio progetto. Felice di essere nuda, vestita di me e della verità, come un’eterna sposa, anzi come in uno stuolo di eterne spose, perché tutte abbiamo provato la medesima sensazione di festosa rinascita. Le fiere ci sono, le incontriamo talvolta, per mia fortuna molto di rado, e nei loro occhi leggiamo un abisso troppo profondo… sono convinta che lo sapranno affrontare e riemergere. La mia carne si cicatrizza in fretta, l’anima di chi scorge buio ha tempi più lunghi. Le dodici storie presentate recano titoli di libri di autori famosi. Nella narrazione stessa troviamo citazioni di P. Neruda, W. Shakespeare, M. Mazzantini, C. Dickens, J. Austen, solo per citarne alcuni. Sono brani di libri che evidentemente hai letto, frasi che sembrano appartenere alle storie, che le impreziosiscono come monili discreti perché si fondono completamente con le tue parole. Tutto questo denota, oltre una grande cultura e preparazione, anche una spiccata sensibilità (ed è solo una conferma) nell’associare parole scritte a stati d’animo o eventi altrimenti difficili da descrivere. M’incuriosisce conoscere i tempi di queste letture, cioè: hai spulciato, con immane lavoro, diversi libri alla ricerca delle citazioni adatte al tuo scopo, della somiglianza con le storie pervenute, o sono parole impresse nella tua mente e mai più dimenticate, frasi che allora ti hanno colpito e che hai trovato il modo di condividere con noi?
Le citazioni si sono presentate a me da sole, come soldati fedeli all’appello. Scherzo! Non è vero: sarei come la modella che afferma di mantenere una taglia 36 mangiando solo melanzane alla parmigiana e cioccolato bianco. Avevo in mente di trovare libri celebri le cui frasi fossero calzanti con la storia pur non condividendone affatto la trama. Nel “Racconto di due città” di Dickens, per esempio, si narra della Rivoluzione Francese e del periodo del terrore fra Parigi e Londra: io ne ho inserito stralci nell’episodio di una ragazzina abusata. Questo lavoro di ricerca è stato da me condotto per due motivi; spezzare l’eccessivo pathos e far concentrare sul messaggio e includere le microstorie del quotidiano nell’abbraccio della Storia Universale, anche essa Madre. Il libro è diviso in sezioni. Siamo figlie, Siamo madri, Siamo donne. Una suddivisione solo stilistica, perché in realtà siamo tutte al contempo donne, figlie e madri «nella medesima, e peculiare, accezione». Una sequenza temporale di crescita verso una consapevolezza, dall’essere bambine, figlie acerbe di conoscenza e vita vissuta, alla matura figura di madre che può anche essere sterile (di progenie o di sentimenti, non fa differenza) ma che madre lo è comunque, alla coscienza di sé, dell’essere Donna, indipendentemente dall’esito del nostro ginecologo o del nostro ventre. Dà l’impressione che tu abbia voluto prendere per mano i lettori, in particolare le donne, per far loro varcare la soglia del dolore e delle loro ferite ancora aperte, facendole crudelmente attraversare la tempesta per poi ritrovare la quiete, in accordo col ritmo lento e cadenzato di un cuore libero dai mostri del passato (e del presente). Era questa la tua intenzione?
Esattamente questa, è un percorso iniziatico, come ho già accennato, che porta ad una partenogenesi: da bambine negate, a madri negate, fino a Dee della propria femminilità. C’è un rivolo di sangue che scorre lungo tutte le pagine, sangue mestruale. «Tessuto connettivo allo stato liquido. Sospensione di cellule nel plasma. Fluido contenuto nel Santo Graal. Nettare per vampiri. Epifania di stimmate». Il simbolismo del sangue è molto presente, ovviamente, così come quello della sterilità, che può essere malattia, esito del caso beffardo, che spesso toglie le possibilità ma non il desiderio, o sine causa. Lo ripeti spesso. Quasi come a voler sciacquare un senso di colpa che spesso consuma le donne molto più dell’impossibilità di avere un figlio. È così? Il senso di colpa è un tema estremamente interessante. Poche fra le “mie” donne, si sono sentite in colpa per essere infertili, io, personalmente, mai. Alcune sì, per la pressione familiare e sociale che veniva esercitata su di loro, ma, intimamente, hanno sentito molto l’ingiustizia di subire una condanna immeritata. Diverso è, invece, il senso di colpa che esse hanno provato in qualità di figlie o, soprattutto di madri, nell’accezione biologica e comune del termine. Non esistono madri perfette, modelli a cui aspirare, le mamme sono donne, talvolta in difficoltà, come tutte. Alla fine, fai una distinzione tra le parole “Madre” e “Mamma”, conferendo quasi più magnificenza all’essere Madre che all’essere Mamma, come fosse, quest’ultima, una mera tappa d’arrivo dopo essere state a lungo Madri, figura che racchiude in sé tutte le Donne, figlie di Eva, le figure mitologiche di Dee dai seni turgidi e il ventre gonfio, e la figure femminili dell’Antico Testamento, sterili fino all’intervento divino. Una Madre diventa Mamma quando partorisce un figlio di carne dal proprio utero o accoglie il frutto di un’altra Donna. «Ma questa è una storia nuova, da raccontare in un bisbiglio, come una fiaba», concludi. Eppure di Mamme, nel tuo libro, ce ne sono, hai raccontato le loro storie. Cosa intendevi dire, dunque?
Essere Madri o Mamme non distingue per magnificenza. Tutte le donne sono madri in senso ampio: madri di idee, progetti, sogni. Madri di amiche, uomini, delle stesse proprie madri e perfino di se stesse. Invece essere mamme, sia biologiche che adottive, nell’ottica simbolica del mio libro, non rende “più donne”, donne lo si è già, ma segna l’inizio di una grande avventura, lunga una vita, fatta di gioia, ma anche di dolore, destinata a snodarsi lungo cordoni ombelicali invisibili nutriti da sentimenti senza confini. Cordoni che non sono cappi, ma fili di seta, che lasciano libertà nell’unione. Alla fine del tuo libro c’è l’intervento di Sabina Cedri, una professionale e preziosa analisi della maternità rappresentata sui giornali scandalistici e i mass media. Appare stonato nel resto della narrazione, come uscire da un libro antico ed entrare nella tecnologia. Eppure, in qualche modo, completa questo prezioso compendio sulla Maternità, in tutte le sue accezioni. Come si colloca, dunque, quest’ultima parte? È stata una tua idea?
Sì, ho proposto io a Sabina Cedri di intervenire. Ho voluto, al termine delle storie, riportare il lettore “sulla terra”, davanti ai rotocalchi e alle trasmissione televisive pomeridiane che spesso creano un modello femminile e materno mediatico, virtuale, inesistente. La maternità rappresentata non sempre coincide con quella vera, vicina, che magari abbiamo vissuto o che ora vive la nostra vicina di casa, misurandosi con stereotipi fasulli. Ti faccio ancora una volta le mie congratulazioni per questo lieto evento, cara Emma, che sia di buon auspicio per una (ri)nascita. Che sia una figlia o un’appagante serenità, solo il tempo lo svelerà. Il tuo libro resta comunque un dono, per chi l’ha scritto (e mi riferisco anche a tutte le centocinquanta donne che hanno trovato il coraggio di inviarti la loro storia) e per chi lo legge. Conoscendone solo al sinossi, ho pensato di regalarlo ad alcune amiche con la tua stessa sindrome, l’endometriosi, pensando erroneamente potesse adattarsi solo alle loro corde. Mi sbagliavo. È un libro che tutte le donne dovrebbero leggere. Per sentirsi meno sole nelle loro solitudini. Perché parla di noi. Figlie. Madri. Donne.
Grazie infinite, Stefania, credo che uno sprone a continuare a scrivere sia il ritornare nel tuo salotto! Nel mio libro la parola endometriosi compare tre volte soltanto: il tema portante è la maternità oscura che si dipana in violenza, malattia, abbandono e depressione, ma che non impedisce di rinascere alla luce della vita e della sua bellezza. “Vite di Madri” è un romanzo che narra le gesta di guerriere, come lo siamo noi donne, adatto a tutte e a tutti, perché molti uomini lo hanno letto, comprendendone appieno il messaggio veicolato. Il tè è finito, ma il suo aroma aleggia ancora nell’aria.
tratto da http://gliscrittoridellaportaaccanto.blogspot.it/2015/08/intervista-allautore-emergente.html