"Vite di Madri", recensione di Giada Alessia Lugli
Ho incontrato una persona per strada. Era un giorno di pioggia fine, nel limbo di un mezzo autunno, dove farsi sorprendere senza giacca costa un malanno. Ferma all'angolo, sotto i portici della stazione, aspettavo che si calmasse il battirone, sebbene avessi l'ombrello.
Lei mi è passata accanto, nuda, e mi ha guardata, scegliendomi quasi per caso. Io le ho sorriso. Non ha atteso il mio aiuto: un passaggio con l'ombrello almeno per attraversare la strada, né tantomeno si è riparata sotto gli archi di pietra, accanto a me. Ha tirato dritta, certa che l'avrei seguita, rallentando appena il passo per darmi il tempo di riavermi e spicciarmi.
Sono uscita così nel fragore della pioggia battente, arrancando per cercare di proteggerla da un fastidio e da un gelo che invece lei, evidentemente, non sentiva. Zitta, e in qualche modo gentile, mi ha guidata camminando spedita verso una grande casa in periferia. Facendomi il segno del silenzio mi ha accompagnata di sopra, e ho visto i suoi delicati piedini bianchi, chissà come immuni dalla strada. Mi sono accorta allora anche dei suoi capelli asciutti e ho aperto la bocca per lamentarmi di quell'inganno che avrei voluto saper imitare.
Ma in quell'istante mi ha suggerito con un gesto galante di chiudermi all'interno di un armadio a muro. Da lì ho guardato tra i listelli di legno laccato, per quanto tempo non lo so. Dodici vite di madri mi sono passate davanti agli occhi, secoli di sangue, rinascite e morti senza senso, circoli infiniti di catene spezzate e ricostruite. Dolori insuperabili sopraffatti da gioie comuni.
Infine il mio sguardo ha ceduto e le mie ginocchia han tremato, ma un braccio saldo mi ha tenuta in piedi, pensavo fosse la mia ospite, invece era un'altra donna, una delle tante, chiusa come me ad osservare, aspettando forse il suo turno di andare in scena, o riposando dopo esserci già stata.
Ho riaperto gli occhi e di nuovo ero sotto i portici, con l'acqua scrosciante a un passo da me. Quando mi è passata davanti, questa volta, grondava ed era vestita. In cambio di un passaggio sotto l'ombrello mi ha offerto una cioccolata in un bistrot. Ho sognato, mi son detta, e le ho sbirciato i piedi, che infatti calzavano delle bellissime scarpette rosse. Solo dopo, alzando gli occhi, ho riconosciuto la barista, la donna seduta al tavolino tondo, la cameriera... Dodici donne per tutte le donne, me compresa. Dodici storie per ogni mia lacrima, dodici anime forti per tutte le volte in cui si ha paura.
Grazie, Emma.
Giada Alessia Lugli
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