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Intervista a Emma Fenu: storie di donne

Vite di Madri è un libro che racconta dodici storie vere di donne che non hanno avuto facilmente la possibilità di diventare genitori. Racconta di malattie, racconta di timori, racconta anche di felicità e gioia. Emma Fenu, che è l’autrice di questo libro metà dossier metà romanzo poetico, ha saputo trarre dal dolore una forza impressionante e coinvolgente da attrarre ogni tipo di lettore. L’abbiamo incontrata. E ci ha descritto in che modo è possibile diventare mamma anche quando fisicamente qualcosa non “quadra”.


Il testo è autobiografico: come mai l’idea di raccontare la sua storia così intima, così personale, così particolarmente emozionante?

Il testo nasce dall’esigenza di condivisione di una mia situazione personale, ossia della mia infertilità causata dall’endometriosi, ma si snoda in 12 storie che sono frutto di una “ricerca sul campo” che mi ha portato a raccogliere ben 151 testimonianze vere. Sono tutte donne che condividono la mia diagnosi, ossia hanno, o hanno avuto, difficoltà, per ragioni diverse, ad avere un figlio, ma, soprattutto, sono riuscite ad elaborare un vissuto complesso. Sono storie di violenza, malattia, abbandono, depressione, aborto, morte. Ma non solo: sono iter di rinascita che hanno portato alla maternità biologica o adottiva o una metabolizzazione della propria condizione di Donne non-mamme. Ovviamente non ho vissuto tutte queste esperienze in prima persona: in verità la mia storia non è riportata sul libro, eppure io ci sono. Io sono in tutte le storie e tutte le storie sono in me, in quanto, scrivendole, le ho rese mie. Le ho partorite.


Non è facile la sua condizione, come si può vivere accettando questo dolore?

La vita offre prove a tutti: questa è la mia. Poteva andarmi meglio, ma anche peggio. L’inizio del mio percorso di donna infertile è stato molto duro, in particolar modo perché non si sono mai trovate cause che precludessero un concepimento naturale, tuttavia oggi sono serena. Certo, non escludo che farò tentativi per diventare mamma, ma l’assenza di un figlio non mi condanna ad essere infelice e incapace di cogliere le bellezze della vita.


I racconti malgrado il dramma non pretendono alcuna compassione, questo è un grande vantaggio perché riflettono di luce e positività: ci spiega come è possibile essere felici malgrado il dramma, che può essere di qualsiasi natura e non per forza legato all’infertilità?

La felicità, intesa come positività e serenità, non come fuggevole attimo di estasi, nasce in noi e si palesa e al contempo realizza nel modo in cui ci relazioniamo agli eventi e alle persone. Non possiamo cogliere gioia, calore e armonia se già non le possediamo, almeno in stato embrionale, nel nostro animo. Bisogna, inoltre, saper danzare sotto la pioggia, nell’attesa che risorga il sole. E il sole risorge, sempre.


E se l’infertilità riguardasse l’uomo?

L’infertilità interessa la coppia, non il singolo. In metà delle storie raccolte il problema riguardava l’uomo, così come risulta dalle statistiche condotte ad ampio raggio per ragioni mediche, eppure il dolore non risparmiava la donna.

Credo che in entrambi i casi ci si senta menomati e defraudati della potenza creativa. Dovendo trovare una differenza: nella donna l’incapacità di procreare si traduce in una mancata solvenza di un ruolo sociale, nell’uomo viene messa a dura prova la sicurezza e l’autostima nella vita sessuale.


Ci racconta un aneddoto che la riguarda utile magari a quelle persone che facilmente si buttano giù?

Ve ne racconto dodici, nel mio romanzo. Vi racconto di donne che hanno attraversato l’inferno, e non solo a causa dell’infertilità, e ne sono uscite forti, vittoriose, solari… femminili. Ognuno deve trovare la propria strada, non c’è una ricetta della felicità. Ma sicuramente se qualcosa si mette a bollire in pentola, alla fine si sarà sazi e nutriti.


Spesso la vediamo ritratta con una corona fra i capelli, ha un significato ben preciso?

Vorrei precisare che non vado a fare la spesa con un diadema in testa! Tutto è nato dal servizio fotografico prematrimoniale, in cui ci siamo divertite, io e la nostra fotografa, a creare un’atmosfera fiabesca. Il gioco è stato divertente, troppo divertente per non ripetere l’esperienza e strizzare l’occhio a tutte le donne comunicando loro: “Possiamo essere principesse! Non importa quanto siamo fortunate, ricche, sane e belle. Siamo meravigliosamente uniche ed imperfette, capaci di volteggiare fra il tulle e salvarci da sole, sconfiggendo ogni drago”.


Qual è il messaggio che realmente vorrebbe dare ai lettori del suo libro?

Tutte le donne sono MADRI: quelle che hanno partorito, quelle che hanno adottato, anche quelle che non hanno potuto o voluto avere figli. Madri di idee, progetti, madri di amanti e amiche, delle proprie stesse madri e perfino di se stesse, in quanto ventri accoglienti capaci di accogliere e far germogliare speranza e creatività.


Ha in cantiere altri progetti editoriali?

Ho scritto un secondo romanzo, ispirato alla storia della mia famiglia, che attraversa tutto il Novecento. In fondo, anche quest’ultimo, è una storia di Donne e di Madri.


Maria Ausilia Gulino


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